2) ritorno da talos dome

 

É stata un’esperienza dura e interessante allo stesso tempo, dura perché mi sono spaccato la schiena a scavare, trasportare materiali, fare fori nel ghiaccio con un carotatore a mano.Non si poteva contaminare l’ambiente, tutto questo con una temperatura che variava continuamente, da – 25 con il sole e in assenza di vento ai – 48. Non avevo mai sentito tanto freddo in vita mia, una notte abbiamo registrato – 62, nonostante la tenda era abbondantemente riscaldata si sente la morsa del freddo che ti circonda, ci sono stati dei momenti che il freddo alle mani, al viso, ai piedi era così forte che la disperazione ti assale la mente, solo con una grande forza di carattere, la resistenza e forza fisica ti permettono di ragionare per superare il momento di sofferenza. Quando ti trovi circondato da un’immensità di ghiaccio così tanto che non esistono orizzonti, il bianco accecante, e il freddo non ti permette nemmeno di respirare perché ti gela i peli delle narici, pensi che il mostro che ti sta avvolgendo ti potrebbe ingoiare quando vuole, ma si limita a farti sentire la sua potenza, non va lasciato nulla al caso, ogni piccolo dettaglio ti potrebbe costarti molto caro.

La parte interessante riguarda; i rapporti umani che si istaurano con gli altri componenti del gruppo, eravamo in quattro, io, Giorgio un incursore paracadutista dal fisico possente, Mirko un ricercatore universitario dal fisico esile, con i suoi occhialetti poggiati sulla punta del naso e quel tipico disordine e goffaggine di chi ha studiato tutta la vita, e nel suo piccolo è un genio, solo che spesso mette un calzino bianco e l'altro nero... ma si è dimostrato una persona eccezionale, Simona, la donna del gruppo,anche lei ricercatrice dell’Università di Genova, dal fisico minuto, carina, anche se il sole le ha bruciato in modo preoccupante il naso e le guance, si è dimostrata una vera forza delle natura, non ha mollato mai un attimo il suo lavoro e lo spirito per darci supporto nei momenti di difficoltà, oltre ad occuparsi della preparazione dei pasti, un'Antartica vera.

Sono stati 8 giorni di duro lavoro per tutti, anche per Mirko e Simona, nonostante il loro fisico non era lontanamente paragonabile a quello mio e di Giorgio hanno collaborato dando il massimo che potevano, li abbiamo soprannominati Armaduk e la sua aiutante.

Giorgio e io abbiamo avuto un carico di lavoro notevolissimo, e considerate le condizioni climatiche in cui abbiamo lavorato i risultati sono stati eccellenti.

Il lavoro consisteva nello scavare delle buche da cui campionare i vari strati di neve, le buche da fare erano 5, una centrale di 2 mt per 2 mt profonda 7 mt….ti lascio immaginare, fatto il buco “uno spettacolo” abbiamo fatto la prima carota di ghiaccio, dalla base del buco per 10 mt, da considerare che la trivellazione l'abbiamo effettuata a mano, in quanto, come ti scrivevo prima, l’ambiente in cui abbiamo operato non si poteva contaminare, fatto questo abbiamo fatto altre 3 carote di ghiaccio intorno al buco, non puoi immaginare il disagio che si prova nel dover affrontare situazioni del tipo; non si svita il tubo di connessione del carotatore perché si è gelato, e nonostante la forza di due tori, quali ci considerano a me e Giorgio, non riuscire a mollarlo se non dopo uno sforzo sovrumano, tutto questo mentre il gelo Polare ti stacca le orecchi, ti acceca, ti spacca le mani, le labbra, e paradossalmente il sole ti brucia la pelle, ti stacca i pezzi, dalle orecchie, dal naso, la luce è così forte che nonostante gli occhiali la notte non riesci a dormire, è come se avessi saldato tutto il giorno.

Le altre quattro buche le abbiamo fatte disponendole a croce, distanti 500 mt dalla buca centrale, queste un po’ meno profonde rispetto alla prima, le carote di ghiaccio che abbiamo fatto in totale sono 10 di 10 mt ciascuna. Non era ammesso dimenticare materiali di lavoro nello spostamento tra una buca e l'altra, c'era da camminare 15 minuti nelle neve fresca, una fatica incedibile, data la quota (3000 mt) la respirazione era sempre affannosa, anche per il più piccolo sforzo.

Dal momento in cui l’elicottero ci ha lasciati a 300 km dalla base sono passati 8 giorni, di duro lavoro, di freddo, di fame, di sonno, di dolori fisici e morali, però adesso mi sento un altro uomo, mi conosco meglio, ho coscienza delle mie possibilità, conosco meglio i miei limiti, le mie debolezze, la mia forza fisica.

L’arrivo dell’aereo che è venuto a recuperarci è stata come una visione, mi sono sentito come un naufrago che avvista una nave che lo salverà, capisco che tutto quello che ti sto raccontando può sembrare irreale, ma ti assicuro che è la realtà, dopo un’ora e mezzo di volo siamo rientrati in base, il lavoro a cui eravamo stati destinati è stato portato tutto a compimento, il campo di ricerca interessato a questi campionamenti è la contaminazione ambientale, spero che il nostro lavoro contribuisca a capire i problemi ambientali e trovare delle soluzioni per migliorare questo nostro mondo.

Guido

19 dicembre 2003

 

 

  
     

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