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rassegna stampa  
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Intervista al generale Mauro Del Vecchio, comandante del Coi

di Giovanna Ranaldo

 

Il generale di corpo d’armata Mauro Del Vecchio è il comandante del Comando operativo di vertice interforze (Coi), incarico che ha assunto il 5 settembre del 2007. Questa struttura, che ha sede a Roma, rappresenta il comando attraverso il quale il capo di stato maggiore della Difesa pianifica e dirige le operazioni, le esercitazioni interforze e multinazionali e le attività connesse. Romano di nascita, il generale Del Vecchio ha alle spalle una lunga esperienza come comandante di contingenti italiani impiegati in varie operazioni all’estero, ma la sua formazione non attinge esclusivamente all’alveo della tradizione militare; si corrobora di un incontrovertibile senso del dovere e amore per il proprio lavoro.

 

Generale possiamo fare una panoramica delle missioni italiane nel mondo?

Vorrei sottolineare l’importanza del contributo che l’Italia sta dando alla pace e alla democrazia nel mondo. In questo momento siamo impegnati con quasi novemila uomini in circa 29 differenti operazioni che interessano tre continenti, l’Europa, l’Africa e l’Asia. Sono tutte finalizzate alla stabilizzazione e al superamento di situazioni di crisi in aree piuttosto delicate, che si manifestano attraverso modalità diverse: dal peace-keeping al peace-enforcing in alcune circostanze. E’ un impegno molto significativo, che ci pone sicuramente tra i primissimi Paesi nel mondo, credo che siamo il quarto contributore di Forze per operazioni di supporto alla pace. Sono attività che incontrano il consenso della popolazione, perché in tutti i teatri in cui ci siamo trovati a confrontarci, abbiamo avuto delle risposte molto positive. Hanno apprezzato la maniera particolarmente aperta con cui i nostri soldati riescono a relazionarsi con la popolazione.

Di queste 29 operazioni, alcune naturalmente rivestono una rilevanza maggiore. La più importante in questo momento è quella in Libano, dove l’Italia, intesa come nazione, è stata promotrice di questa grande iniziativa proprio per portare la pace in un’area molto difficile e complessa. Lì noi abbiamo circa 2.500 uomini, deteniamo il comando dell’operazione con il generale Graziano e fra poco avremo anche il comando della Maritime task force, ossia di quella componente della operazione che ha il compito di controllare le coste libanesi. E’ una operazione che ha costituito un elemento di stabilizzazione in un’area che però è soggetta a problematiche politiche non indifferenti. Noi sicuramente rimarremo lì, così come il mandato dell’Onu ci ha detto, cercando appunto di costituire con la nostra stessa presenza, motivo di serenità e di superamento delle tensioni.

Poi abbiamo l’area dei Balcani, che è tornata molto attuale perché oltre al contributo in Bosnia, che si mantiene costante, adesso su circa 350 unità, abbiamo anche un’altra storica presenza in Kosovo, Paese che in questo momento è all’attenzione delle osservazioni internazionali per la vicenda della proclamazione della indipendenza. Anche qui la presenza della Nato - l’Italia è una delle nazioni più rappresentate nell’ambito di questa operazione - è una realtà importante perché è mirata a garantire le condizioni di sicurezza per tutta la popolazione a prescindere dalla etnia. E’ stato fatto già nel passato ed è previsto che venga fatto anche in questo momento. I nostri uomini e le nostre donne sono lì proprio per dare un’idea della figura della comunità internazionale che vuole rispettare i diritti di tutti e la sicurezza.

 

Parliamo di uno dei teatri che le sta molto a cuore, l’Afghanistan.

Certo, l’Afghanistan è il terzo teatro, importantissimo, perché la nostra componente è di 2.350 uomini e da sempre abbiamo avuto delle responsabilità molto elevate. Intanto abbiamo storicamente la leadership della regione occidentale dove c’è il generale Macor, che è incentrata sulle città di Herat, Farah, Qaleh-Ye Now, Chaghcharan, quattro province diverse e poi in questo periodo, dal mese di dicembre fino al mese di agosto del 2008, abbiamo anche la leadership del Regional command capital, quindi in questo momento, abbiamo la responsabilità di due Regional command. E’ un’attività molto difficile, come sappiamo perfettamente, però ci troviamo di fronte a una situazione che stiamo affrontando con il nostro solito sistema di apertura nei confronti della popolazione, di solidarietà, di impegno per elevare le capacità di vita di questa gente: la ricostruzione fisica, indispensabile per un Paese martoriato da circa 30 anni di guerra, ma anche la ricostruzione istituzionale, proprio perché bisogna dare supporto alle istituzioni periferiche, ai governatori e così via.

 

Fa rabbia pensare che nonostante questo abbiamo perso un altro italiano, il maresciallo Giovanni Pezzulo.

Fa rabbia certo, nonostante questo abbiamo perso un altro nostro fratello che nello svolgere questa azione di solidarietà, ha purtroppo pagato con la vita quello che era il suo impegno. Ed è disgraziatamente un caso che si aggiunge ad altri, perché non possiamo dimenticare che il maresciallo Paladini, poco più di due mesi fa, ha subito la stessa tragica fine, anche in quel caso mentre stava facendo qualcosa a favore della popolazione. E’ chiaro che il segnale di questi atti drammatici è ben chiaro a mio modo di vedere, è praticamente la reazione da parte di chi si vuole opporre, e si oppone, al processo di stabilizzazione. La reazione contro degli interventi, proprio quelli che gli italiani stanno facendo, che invece danno consenso alla presenza delle Forze multinazionali.

 

Secondo lei che cosa dobbiamo aspettarci adesso?

Dobbiamo intanto continuare su questa linea che abbiamo intrapreso, cioè questa nostra azione così diretta a salvaguardare la ricostruzione e soprattutto la vita di queste popolazioni. Dobbiamo aspettarci ancora dei tentativi, da parte di queste forze che si oppongono alla stabilizzazione, di contrastare la nostra azione, però credo che lo scopo che noi ci siamo prefissi è talmente elevato sotto l’aspetto morale che dobbiamo trarre da questo la forza per continuare quello che stiamo facendo.

 

C’è una situazione di grande tensione e di crisi anche in Ciad, qual è l’impegno delle Forze armate italiane?

Anche lì un altro impegno di cui credo che dobbiamo assolutamente andare orgogliosi come italiani. L’Italia non ha ritenuto di potersi disinteressare di quanto accade in quella terra, perché la situazione della popolazione è drammatica e quindi abbiamo aderito, anche in questo caso, all’iniziativa delle Nazioni unite di avviare un’operazione umanitaria e di solidarietà nei confronti di quel popolo, fornendo un ospedale da campo.

 

Quindi abbiamo già assetti operativi?

Abbiamo trasportato tutti i materiali che però non sono ancora in zona, ma sono a N’Djamena; nel giro di un qualche settimana verranno movimentati proprio ad Abéché, nel cuore dell’area dove maggiore è la necessità di un intervento della comunità internazionale.

 

Dunque gli italiani sempre in prima linea?

Gli italiani sempre in prima linea e devo dire che con le esperienze personali che ho avuto e con quelle che continuo ad avere come comandante del Coi sono veramente orgoglioso di quello che gli italiani fanno in queste circostanze, ma non parlo soltanto dei militari.

 

I concetti joint e combined si stanno evolvendo. Abbiamo una nuova struttura all’interno del Coi, l’Italian joint force headquarters (IT-JFHQ), di cosa si tratta e quali sono i suoi compiti?

E’ una nuova struttura che sta nascendo, di tipo joint, nel senso che ha tutte le componenti delle nostre Forze armate, ed è di piccole dimensioni con un totale di 60 uomini, in grado di poter essere proiettata con immediatezza su qualsiasi teatro e di poter gestire con sicurezza delle strutture fino a livello brigata, quindi è un ulteriore capacità di cui l’Italia ha voluto dotarsi, proprio per poter essere pronta a intervenire in questo tipo di crisi quando c’è la necessità di farlo.

 

Possiamo definirlo come il ‘braccio deployato’ del Coi?

Esattamente, il braccio deployato nel senso che il Coi è una struttura statica, questa sarà praticamente una struttura che potrà essere proiettata in tempi brevissimi, perché nel giro di due giorni gli assetti saranno già dislocati nelle zone di operazione e di lì a poco potranno cominciare a operare.

 

Da questo punto di vista possiamo parlare anche di brigata di proiezione dal mare, perché pare che ci sia un po’ di confusione. Qual è l’evoluzione della Landing force e da chi dipende?

E’ una struttura in cui l’Esercito e la Marina collaborano con determinati assetti. La Marina dispone dei mezzi navali, ma anche del reggimento San Marco, mentre l’Esercito interviene con le forze dei Lagunari. E’ una struttura joint, nel senso che c’è un comandante che è di Marina perché la gestione di questa Forza parte dalla Marina, e poi c’è un vice comandante che è dell’Esercito. Il Coi non ha delle strutture permanentemente assegnate, tutto quello che accade nel mondo viene gestito in quanto le Forze armate assegnano questi assetti al Comando operativo di vertice interforze quando devono essere impiegate. Quindi noi riprendiamo la mano e da quel momento sono di nostra responsabilità. Così accadrebbe anche per questa Forza da sbarco. La Landing force dipende dalla Marina. Il reggimento Lagunari fornisce assetti alla Landing force solo nel momento in cui occorre, altrimenti rimane dell’Esercito. Loro fanno attività addestrativa congiunta per amalgamarsi, però rimangono separati, inseriti nella struttura della Marina o dell’Esercito a seconda della loro appartenenza. Nel momento in cui si deve costituire questa unità, si mettono insieme e vengono forniti al Coi che li impiega.

 

Quindi gestite dalla Marina come Comforsbarc e poi passate al Coi?

Esattamente.

 

Che cos’è lo European force headquarters (EU-FHQ)?

E’ una struttura anche questa, che abbiamo qui nel nostro ambito ed è un ulteriore comando diretto ad assolvere le funzioni delle operazioni europee. Ad esempio, prendendo in esame quello che sta per accadere in Ciad: questo intervento che sta partendo è europeo. In questo caso specifico è stata attribuita alla Francia la leadership di questa operazione che sta lavorando con un comando analogo al nostro EU-FHQ. Molte nazioni, le più importanti, si sono dotate di questi comandi attraverso i quali successivamente sono in grado di poter sviluppare un’azione europea. Stiamo costituendo anche qui questo comando, che entro la fine del mese di giugno sarà validato e potrà essere impiegato per queste esigenze.

 

In un recente suo intervento in termini di lezioni apprese dall’Isaf, lei ha menzionato l’importanza delle Info Ops e in particolare delle Psyops. Ci può chiarire meglio le diverse tipologie e quanta importanza possono avere?

Vorrei sottolineare in particolare le Psyops che sono essenziali all’attività. Si tratta praticamente di far comprendere alla popolazione con cui noi veniamo in contatto qual è lo scopo per cui noi operiamo, quali sono i nostri obiettivi e che cosa vogliamo ottenere. Questo può essere fatto soltanto attraverso degli specialisti, dei professionisti che siano in grado di dare un messaggio facilmente recepibile. Diciamo che è un’attività nuova che stiamo curando in maniera particolare e che credo che sia assolutamente indispensabile nel contesto delle moderne operazioni. Questo per quanto riguarda le Info Ops. Poi c’è un’altra realtà che mi preme sottolineare, l’attività Cimic. Abbiamo un Cimic group south a Motta di Livenza, una struttura che pianifica, predispone, si prepara proprio per svolgere questa funzione di cooperazione civile e militare. Anch’essa basilare. In questo tipo di operazioni, questi due elementi, le Psyops e le Cimic activities, sono essenziali. Le Info Ops naturalmente sono tutte quelle dirette ad avere conoscenza di quella che è la realtà, proprio per poter predisporre i nostri interventi nella maniera più adeguata. Quando noi vogliamo intervenire nell’ambito della ricostruzione, dobbiamo conoscere le esigenze della popolazione e questo vuol dire parlare con loro e avere consapevolezza di quelli che devono essere gli interventi più appropriati.

 

Per quanto riguarda i Carabinieri della Multinational specialized unit (Msu), c’è molto interesse da parte degli altri Paesi nei riguardi di questa nostra Forza armata.

Sì perché abbiamo questa struttura direi unica nel contesto internazionale. L’Msu è nata con i Carabinieri e giustamente noi italiani possiamo trarre orgoglio da questa componente, perché è riconosciuta come efficacissima da parte di tutti e perché sta lavorando in maniera egregia in tante diverse parti del mondo. Potrei ricordare la Bosnia, il Kosovo, l’Iraq dove i Carabinieri, anche se non l’Msu, svolgono un’attività di training essenziale per la polizia irachena, quindi direi che l’Msu e comunque tutte le attività dei Carabinieri, sono molto ricercate.

 

Secondo lei qual è la caratteristica che più incuriosisce i nostri alleati a proposito dell’Arma?

Direi la loro professionalità sicuramente, poi il loro atteggiamento, la loro maturità, indubbiamente come polizia militare, a mio modo di vedere naturalmente, è al di sopra di tutte le altre Forze similari.

 

Crede che sia un modello riproducibile in Forze armate estere?

E’ già stato previsto e lo stanno facendo. Si è istituita una scuola a Vicenza in cui questa nostra capacità costituisce lo sprone per le altre gendarmerie.

 

Lei è un uomo di grande esperienza. Può dirci dal suo punto di vista se e quanto possiamo essere orgogliosi dell’impegno dei nostri uomini e delle nostre donne all’estero?

Noi dobbiamo essere orgogliosi dell’impegno dei nostri uomini e donne. E’ un impegno che si protrae da una lungo tempo perché ricordo che i primi interventi datano gli anni 80, da allora è stato praticamente un continuum. L’Italia è stata sempre presente nei teatri più delicati, più importanti, più complessi, dando un contributo di professionalità, di generosità, di solidarietà che probabilmente non ha eguali nell’ambito mondiale. E’ stato un contributo efficacissimo, riconosciuto da tutti, non solo dalle popolazioni nei confronti delle quali si è sviluppato, ma anche dei nostri partner che non mancano occasione per ribadire la loro stima nei nostri riguardi. Questo penso che sia un motivo di grande orgoglio non certamente soltanto per i nostri militari, ma per tutti gli italiani.

 

 

  
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Estratto da Pagine di Difesa, 19 febbraio 2008.

  
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