12) Spalato

 

Spalato, 12 febbraio 2008

Prima di ogni altra cosa grosse scuse. Avevo promesso la foto di un B-52, ma è rimasta nel computer da cui trasmettiamo. Ve ne allego di più: qualcosa rapito ad Aviano, un B-47, il piccolino, considerato solo bombardiere di medio raggio (4.000 km) e poi le riprese del "grande", il mostro dalle ali a orecchie tristi da coker, che hanno bisogno di una rotellina per non toccare terra - come le biciclette dei bambini. Zona di ripresa la base di Edwards AFB in California ed il deserto californiano.

Come avete chiaramente compreso siamo arrivati a Spalato, dove nel 263 d.C. l'imperatore Diocleziano si fece erigere una villetta niente male. Lui era nativo di Salona, poco lontano, e sembra che proprio dal suo palazzo la cittadina prese il nome Spalatum (da palatium) quando i profughi di Salona si rifugiarono in quel posto, cacciati dalle solite orde barbare. Fu sottomessa dai Bizantini e dai Veneziani e, soprattutto, non fu MAI occupata dai Turchi. Dopo tanta resistenza nel tempo, le milizie del valoroso maresciallo Tito distrussero tutto, inclusi i pregevoli e preziosi Leoni di San Marco.
Ci stiamo prendendo il tempo di riflettere su alcune pagine della Grande Guerra. Abbiamo nominato Luigi Rizzo, d'Annunzio e ci sono molti altri nomi importanti. Vediamo di riassumere. Prima di Caporetto la linea italiana era posta sull'Isonzo. La base di marina e dell'aviazione erano a Grado. Nell'isola d'oro si incontrarono i sopraddetti ed anche il Bafile, che divenne amico di d'Annunzio. La marina italiana non aveva speranze in uno scontro con quella austriaca, però poteva tenerla all'ancora nei rifugi forniti dalle varie isole e dai porti di Trieste e Pola e Fiume. Per questo a Grado furono stanziati i M.A.S., creazione di un cantiere veneziano, la SVAN. La sigla significava appunto Motobarca Armata SVAN, poi Motoscafo Armato Silurante o Motoscafo Anti Sommergibile. L'uso originale era la caccia ai sommergibili, all'epoca lenti, che facevano una guerra di posizione, attendendo il naviglio all'uscita dai porti per silurare. La velocità e l'armamento in bombe di profondità dei MAS rendeva la vita difficile a quei mezzi. Ma potevano esser impiegati anche contro naviglio nemico come siluranti. Dotati di motore elettrico supplementare potevano muoversi in silenzio, nel buio, per avvicinarsi, lanciare e fuggire dopo aver acceso i potenti motori a scoppio. Venivano trainati vicino all'obiettivo, per non sprecare carburante, da torpediniere o caccia, che poi li attendevano per difenderli se inseguiti. Contrariamente a quanto si crede non erano molto veloci. Dopo Caporetto, gli Italiani ripiegarono prima sul Tagliamento, poi sul Livenza ed infine sulla linea del Piave. La linea teneva grazie alle batterie poste a Cortellazzo, che battevano i rifornimenti austriaci. La base dei MAS passò all'isola di Sant'Andrea, in Venezia; così i nostri aerei idrovolanti. Era quanto mai importante impedire alle pesanti navi da battaglia di avvicinarsi e cannoneggiare le nostre batterie. Delle imprese dei MAS ricordiamo la Beffa di Buccari, tre motoscafi penetrati nella rada interna senza che le vedette li scoprissero. Azione più dimostrativa che utile, perché non c'era naviglio militare, ma che diede un grosso risalto alle virtù eroiche italiane. Un equipaggio era comandato dal Rizzo, con a bordo d'Annunzio, che nell'occasione creò il famoso acronimo per MAS, cioè "Memento Audere Semper". Esattamente 90 anni orsono, nella notte tra il 9 e il 10 febbraio 1918.
Per capire la mentalità di agitatore di menti - un uomo di marketing diremo oggi - del d'Annunzio, ecco il messaggio lasciato in mare in tre bottiglie, una bianca, una rossa e una verde. «In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono d'ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l'inosabile. E un buon compagno, ben noto - il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro - è venuto con loro a beffarsi della taglia». Pola e Cattaro erano state bombardate dell'aviazione italiana, con aerei Caproni partiti da Gioa del Colle. Ecco come si espesse il Vate nell'occasione. «Ero laggiù, nella Puglia piana, nel campo destinato alla mia dipartita per le Bocche di Cattaro, in quella Gioia del Colle che io rinominai Gioia della Vittoria». Agli equipaggi: «Non dovete aver alcun dubbio. Tutti arriveremo al bersaglio. Tutti ritorneremo al campo. Siatene certi. Se la nostra volontà è diritta, la bussola non c'illuderà; se la stella del nostro cuore è fissa, la deriva non ci falserà la rotta».
Dopo che i nostri MAS avevano bloccato la navigazione della flotta austriaca uscita dai porti di Trieste e Pola, con le corazzate in linea, si rendeva necessario eliminare questo pericolo. Così, nel dicembre 1917, Rizzo, al comando di due unità, forzò l'ingresso al porto di Trieste, affondando la Wien, mentre l'altro mezzo sbagliò di poco la Budapest. Le navi erano ancorate nel vallone di Muggia. Fu necessario tagliare le reti di protezione, anche calandosi in acqua. Sempre Rizzo, nel 1918, presso Premuda affondò la Szent Istvan (Santo Stefano), mentre Rossetti e Paolucci, a nuoto, penetrarono nel porto di Pola affondando la Viribus Unitis. Paolucci era presente anche a Buccari. Medico, curò l'amico Rizzo, colpito da tumore nei suoi ultimi anni. Rizzo morì nella sua Milazzo nel 1951. Bafile fu colpito di ritorno da una incursione oltre il Piave e fu ricordato dal d'Annunzio.
Rizzo, a guerra ultimata, partecipò alla Campagna d'Africa, per terminare direttore dei Cantieri Riuniti dell'Adriatico a Trieste. Nel 1943, diede ordine di sabotare le navi in cantiere ed i Tedeschi lo spedirono in un campo di concentramento. È il più decorato marinaio d'Italia, con due medaglie d'oro e quattro d'argento. Poco però si nomina e mai è stato fatto un programma pubblico su di lui. Forse il fatto che la flottiglia MAS cui apparteneva (prima guerra) era la X. La flotta italiana lo ricorda con la Fregata "Luigi Rizzo". Sono lieto di possedere il crest in legno e ceramica della nave, affisso sul muro della cucina. Lieto per il crest e perché è entrato nella magione con il bagaglio di mia moglie, eletta miss "Fregata Luigi Rizzo" in un ballo a bordo dell'unità. Così, oltre al vile legno, esiste anche la medaglia d'oro, sistemata tra i gioielli (in quanto oggetto che ci è caro).
Queste poche notizie marinare non ci devono far perdere di vista l'aviazione. Da Grado, isola di Gorgo, gli aerei difendevano l'Isonzo, attaccavano gli aerei di stanza a Trieste, e difendevano i MAS che pattugliavano le isole istriane. De Banfield, attaccando tre dei nostri navigli, con successo, si prese un tracciante nella gamba, che lo costrinse ad un lungo riposo. Gli valse anche la più grande onorificenza dell'impero Austro-ungarico.
Nelle cronache della Regia Marina si legge passo seguente.
«Il 16 febbraio 1916 (il 23 febbraio secondo altre fonti) alcuni idrovolanti di Grado sono in missione su Trieste, fra essi quello pilotato da Luigi Bologna ha a bordo quale osservatore un ufficiale, Gabriele d’Annunzio; al rientro l’aereo ha un guasto ed il pilota deve ammarare, ma ingannato dal riflesso del sole sull’acqua colpisce con tale violenza la superficie del mare che d’Annunzio subisce quello che sembra un modesto trauma all’occhio destro che potrebbe risolversi in poche ore. Ma il fastidio permane e un’accurata visita oculistica constata il distacco della retina dell’occhio, problema che non può essere risolto, e quindi Gabriele d’Annunzio perde per sempre l’uso di quell’occhio». Ne deduco che il monocolo di cui si fregiava il Vate fosse solo un trucco per non far vedere la sua cecità. E mi chiedo come potesse disporre a piacimento del suo non elevatissimo grado per partecipare e organizzare missioni in mare o in cielo, perché di suoi superiori non si parla mai.
I nostri idrovolanti, sulla linea del Piave, dovettero anche affrontare una squadriglia di Albatross III - tipo di aereo che aveva quasi distrutto le forze aeree franco-inglesi sul fronte occidentale. Si aggiunga - come si usa dire - che il comandante era Godwin Brumowsky (35 vittorie); inoltre l'organico contava anche il cap. Franz Graser (18 vittorie). Si aggiunga - di nuovo e ancora - che l'Albatross filava a circa 70 km/h più veloce dei nostri. I nostri soldati hanno fatto veramente meraviglie.
Per comprendere meglio le difficoltà delle imprese raccontate guardatevi le cartine e le foto della nostra ricognizione.

Diario di bordo - 11 febbraio 2008
Il tempo è buono, con poche nuvole sparse. Il viaggio verso Spalato si presenta come una bella passeggiata; circa due ore, con sorvolo di Belgrado e Sarajevo - incontreremo anche Novi Sad. "Alpino" chiede i comandi e Dino vuole sedere accanto a lui. È su di morale, si vede che l'idea di tornare verso il mare lo mette di buon umore e ci promette di raccontare la storia di un "personaggio". Concedo il permesso fino a Belgrado; c'è da sorvolare solo pianura, seguendo il Danubio e non ci si può perdere. Il piattume è totale, da far rimpiangere le distese polacche, che ora ci sembrano meravigliose. Mi siedo in "casa" con Pierangelo per decidere sulle tappe seguenti. La prima chiamata è per farci vedere Novi Sad, il "nuovo insediamento", la Neoplanta del 1700. Abitata dai Celti fino all'arrivo di Roma, nel I secolo a.C., ha origine già attorno al 4500 a.C. Sotto Roma divenne Cusum, regolarmente distrutta dagli Unni, rinacque a nuovo splendore solo nel 1700. Pochi minuti e vediamo la confluenza della Sava nel Danubio. Ecco Belgrado, la "città bianca" anch'essa ricca di storia. La cultura locale risale al 1800 a.C.; divenne romana nel III secolo a.C. con il nome di Singidunum, dal celta Singidum. Sorvoliamo una parte della città, disturbati da qualche nube molto bassa. Non si riesce a vedere l'aeroporto, ma non ci interessa molto. Piuttosto cerchiamo i ponti distrutti - e ricostruiti - durante la guerra del Kosovo. Ci sono, anche se appaiono molto "provvisori". A giorni il Kosovo ha affermato di dichiarare l'indipendenza. Speriamo che non si torni pesantemente alle armi. Si va verso i monti e riprendo i comandi assistito da direttore. Dobbiamo far quota e nubi fastidiose bloccano la visibilità a terra. Arriviamo in vista dei monti che contornano Sarajevo su tre lati. L'insediamente è antichissimo, fin dall'età della pietra. I Romani si stanziarono in una località adiacente, detta Aquae Sulphurae, oggi il borgo di Llidza. Tempo all'inizio inclemente, poi improvvisamente appare uno splendido sole. Giriamo più volte, cercando segni della guerra, ma non ne troviamo. Fotografiamo l'aeroporto, per far qualcosa. La situazione geografica è veramente pesante per chi abiti in città e sia preso di mira dai colli circostanti. Non esiste un solo punto che sia sicuro, infatti le milizie sarbe potevano battere con i cecchini e le artiglierie a piacimento. L'aeroporto era stato risparmiato solamente per imposizione dell'ONU. Abbiamo fatto quello che dovevamo; si punta a ovest, direttamente sul mare. Saliamo di quota per sicurezza e ci rilassiamo. Ma il diavolo ci mette la coda: le nubi infittiscono di colpo ed arriva il vento di Bora, che ci punisce per colpe mai commesse. Ci rendiamo conto di essere fuori rotta ed abbondantemente più a nord del dovuto quando scorgiamo il campo di Banja Luka. Ed è questo l'ultimo riferimento visivo utile. Eppure la bussola oscilla tra 268 e 272, ovest pieno. Invece stiamo andando per oltre 330. Caro Vate, la bussola ci ha illuso, e come si ci ha illuso. Parte anche il GPS, a cui manca proprio la parte relativa a Spalato, gli strumenti sono imbizzarriti, non vediamo. Tutti impegnati a uscire dal problema al più presto, si mettono via macchine fotografiche e quant'altro. È la prima volta che dobbiamo assicurarci ai sedili con le cinture. Non mi va che, oltre a Pierangelo - che sta bene - qualcun altro sbatta la testa. Per fortuna il mare non è lontano e possiamo scendere, mentre l'aereo rolla e beccheggia come una motobarca. Non è difficile trovare Spalato, con riferimenti sicuri come le isole prospicienti. Atterriamo in confusione ed andiamo dritti al bar: dobbiamo trovare un piccolo aereo per le visite in loco. Di fronte a noi stanno Lissa e Curzola e tanta storia d'Italia.

La sera ci invita ad ammirare il sole che tramonta, uno spettacolo superbo e mirabile. Dino sogna un legno per farci cullare dalle onde. Io voglio solo dormire.
Domani è un altro giorno (dotta citazione).
 

 

 

Boeing B-47 ad Aviano

 

Il B-52 sulla Edwards AFB

 

Il B-52 in volo sul deserto californiano

 

Saluto all'aeroporto di Budapest

 

Il Doge in volo sul Danubio

 

La confluenza fra Sava e Danubio

 

I ponti sulla Sava

 

La conca di Sarajevo

 

 

 

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